a cura di Stefano G. Azzara, Fabio Frosini e Anxo Garrido
Fernández
Scrivere a stefano.azzara@uniurb.it / fabio.frosini@uniurb.it
Deadline: 15 settembre abstract, 15 novembre consegna testo
Deadline: 15 settembre abstract, 15 novembre consegna testo
English - Tninking the pandemic: the threshold between “public” and “private”, the present crisis and the forms of power
Español - Pensar la pandemia: el límite entre “público” y “privado”, la crisis actual y las formas del poder
Alla luce dello shock economico causato dalle misure di
contenimento del SARS-CoV-2 - Covid 19, che in questo momento (agosto 2020) si
calcola provocheranno una caduta di quasi del 5% del PIL su scala globale, e
vista l’incertezza derivante dalla mancanza – nonostante l'enorme mobilitazione
di risorse – di una cura definitiva per la malattia, sembra pienamente
giustificato parlare di una crisi di ampio respiro. Questa crisi ha messo in
discussione alcuni dei pilastri della globalizzazione neoliberale nelle sue
forme sinora dominanti, sia con l’introduzione di restrizioni ai flussi di
merci, passeggeri e manodopera, sia attraverso l’inclusione di considerazioni
diverse dalla mera redditività immediata nella produzione e distribuzione dei
beni essenziali, sia attraverso i cambiamenti che ha introdotto nei modelli di
consumo e più in generale nel rapporto tra apparati statali, classi sociali e
organizzazioni della società civile. La sensazione di crisi è stimolata anche
dalla preoccupazione – espressa in particolare dalla critica della biopolitica –
che l’ampia e innovativa serie di misure tecniche e governamentali, adottate
sul piano del controllo dei comportamenti e della mobilità delle popolazioni,
con l’obbiettivo di contribuire a contenere la diffusione del virus, possa
sostenere tendenze dell’interventismo statale di tipo anti-garantista e
potenzialmente autoritario; tendenze che sono attualmente più o meno germinali
a seconda delle diverse realtà nazionali, ma che potrebbero, con la crisi,
diffondersi e affermare maggiormente la loro legittimazione, fino a radicarsi
nel “senso comune”. D’altro canto, al rischio di una manipolazione
dell’emergenza in chiave pastorale e disciplinare si affianca quello, forse
persino più attuale man mano che ci allontaniamo dal picco della pandemia, di
un suo uso in chiave ribellistica, nel quale il sovversivismo dall’alto
sollecita lo scatenamento di un sovversivismo dal basso in nome della difesa di
una libertà individuale assoluta da ogni ingerenza nella sfera privata e da
ogni regolazione attuata in nome degli interessi generali.
In questo senso, la congiuntura attuale assume i tratti di un
“interregno”, di un momento di cambiamento, in cui non è affatto chiaro se
questo complesso sistema di provvedimenti, a cominciare dalla ricerca di un
vaccino o di una cura efficace, potrà portare rapidamente a ristabilire le
condizioni precedenti al gennaio del 2020, né se quanto è accaduto nell’anno in
corso influirà in modo strutturale sui modi di vita e la mentalità, sulla
cultura della vita quotidiana, sull’organizzazione dei complessi sistemi di
traffico e interazione sul piano statale e internazionale. Dinnanzi al
proliferare delle proiezioni di più o meno incredibili scenari futuri, è più
ragionevole indagare le forme, che già in questo momento si sono manifestate,
della crisi in corso, evitando però di isolare il presente da un più ampio
scenario di processi di medio periodo (diversificati ma anche in parte
collegati tra di loro), rispetto ai quali la pandemia ha funzionato da
acceleratore e, per questa ragione, da rivelatore.
Segnaliamo in particolare due aspetti a nostro avviso dominanti di
questa crisi:
1) nelle sue fasi iniziali, la gestione dell’emergenza sanitaria
si è caratterizzata, in Europa e successivamente, più in generale, in tutto il
mondo “occidentale”, per la mancanza quasi completa di solidarietà e mutua
assistenza, anche tra Stati appartenenti allo stesso sistema di alleanze
geopolitiche o addirittura agli stessi sistemi sovranazionali, come l’Unione
Europea. Sempre nella stessa linea, l’interruzione dei flussi di commercio
internazionale e la necessità di disporre di riserve di beni essenziali hanno
favorito il ritorno in auge di piani di rilocalizzazione di industrie e filiere
produttive considerate “strategiche”, secondo le linee di un “capitalismo
organizzato” i cui contorni erano già percepibili nella tendenza a un
riposizionamento in chiave protezionista delle grandi aree regionali che
articolano la globalizzazione a guida USA.
2) Sul piano delle forme e tecniche di governo, va fatto rilevare
che le autorità statali hanno adottato misure di lotta alla pandemia che nella
quasi totalità hanno oscillato tra forme più o meno rigide di limitazione delle
libertà personali. Le autorità di alcuni paesi si sono invece schierate, in
tutto o in parte (ma con successive rettifiche e ampie oscillazioni), contro
quella che è stata da alcuni definita la nuova tentazione “autoritaria” o addirittura
“totalitaria”, che mirerebbe a imporre la “dittatura” del potere dello
Stato-sorvegliante su tutte le attività, compresa la vita privata.
Questi due fenomeni – il ritorno (se più o meno temporaneo, rimane
da vedere) a forme di “mercantilismo” pre-1945 e il profilarsi di un
“intervenzionismo” statale impensabile fino a pochi mesi fa – configurano una
situazione nella quale i dogmi della politica economica e più in generale della
visione del mondo “neoliberale”, almeno nella vulgata che in misura maggiore ha
sinora plasmato le forme di coscienza prevalenti, appaiono improvvisamente
nella loro contingenza istitutiva, ponendo così in discussione l’intero involucro
“liberale” e “costituzionale” sul quale per alcuni decenni si è retta la vita
del mondo euro-atlantico.
In questo senso, per chi non vuole accontentarsi di descrivere la
superficie dei fenomeni, la crisi del 2020 funziona come un “osservatorio” in
cui si rendono evidenti i rapporti di forza che costituiscono la struttura
profonda del mondo contemporaneo, a tutti i livelli: dai rapporti
interpersonali al livello geopolitico, portando alla luce la precarietà di tale
equilibrio, la sua storicità e la transitorietà degli aspetti materiali e
ideologici che il consenso neoliberale aveva stabilito come inamovibili.
«Materialismo storico» intende aprire uno spazio di riflessione sulla
crisi che stiamo attraversando. È una riflessione difficile, delicata, perché
condotta sul filo dell’attualità, ma necessaria per poter prendere posizione in
modo autonomo a partire dalle coordinate teoriche e culturali che
caratterizzano questa rivista. A questo scopo, sottoponiamo all’attenzione dei
possibili interessati una coppia categoriale che a nostro avviso riveste un
ruolo imprescindibile in un approccio critico basato sulla tradizione marxista,
e in particolare da un punto di vista che si ispiri al pensiero di Antonio
Gramsci: la coppia pubblico/privato.
In una prospettiva marxista e gramsciana, pubblico/privato è il grande
crinale che articola la vita sul piano della “cellula” politica fondamentale
del mondo moderno, lo Stato nazione. Lo Stato moderno ha gradualmente, in un
processo secolare, fondato giuridicamente la libertà individuale e, allo stesso
tempo, la formazione della volontà politica sulla distinzione netta tra queste
due sfere. Con l’imporsi delle società di massa, strutturate in modo
“massiccio” (Gramsci), questa nettezza è però di fatto progressivamente venuta
meno, anzi si è rivelata come una semplice utopia del liberalismo
“rivoluzionario”. Gli esperimenti “corporativi” degli anni Venti e Trenta del
Novecento – già ampiamente annunciati dal più intelligente pensiero
conservatore della fine dell’Ottocento e del principio del secolo Ventesimo – non
sono altro, in questa prospettiva, che una condensazione particolarmente
potente ed evidente (come risposta a una crisi di enorme portata) di una
tendenza che in realtà non è mai venuta meno neanche nel secondo dopoguerra, e
che invano si è tentato di sradicare con la rivoluzione neoconservatrice
dell’ultimo mezzo secolo.
Il conferimento diretto al singolo “cittadino” di funzioni e
responsabilità “pubbliche”, di diretto rappresentante dell’ordine e della
disciplina statale, richiesto dalla situazione di emergenza ha nuovamente posto
in luce l’esistenza di tendenze all’erosione della dicotomia liberale pubblico/privato.
In questi mesi, in tutti i paesi europei e probabilmente, in altre forme, anche
altrove si sono sperimentate varie modalità di combinazione del momento del
consenso e della forza, della disciplina autoimposta e di quella esteriore,
della partecipazione comunitaria e della limitazione della libertà, tra “libertà”
individuale e “conformismo” collettivo.
Lo scatenarsi della crisi epidemica ha repentinamente portato alla
luce una “trama” materiale della vita sociale e della politica, dello “Stato in
senso organico e più largo” (Gramsci), che è irriducibile alla concezione
dicotomica della relazione tra pubblico e privato, e che – chiamando in causa
almeno un’altra coppia categoriale che finisce per intrecciarsi con la prima, e
cioè quella di universale e particolare – fa nascere un’ampia serie di
“combinazioni” che sono alla base della molteplicità di esperimenti che
caratterizza l’esperienza politica attuale.
Questo fenomeno di “attivazione” collettiva, sollecitata dalle
politiche statali ma anche dalla necessità di affrontare l’emergenza in vari
contesti della società, contiene aspetti regressivi ma anche potenzialità in
direzione di un superamento o per lo meno di una relativizzazione
dell’“individualismo proprietario” sul quale si basa l’economia di mercato,
verso l’adozione di un modello più legato alla “pianificazione”, non più concepita
e percepita come sinonimo di limitazione della libertà individuale, ma come un
suo contesto organico.
Sulla base di questo orizzonte problematico, sollecitiamo
interventi che, tenendo conto di esso, si concentrino in particolare (ma non
esclusivamente) sulle seguenti questioni (anche assumendo temi a esse
trasversali):
– forme di “neo-mercantilismo” e ristrutturazione del “libero
mercato”
– tendenze alla “corporativizzazione” del tessuto sociale e
riaffermazione, per contro, dell’“individualismo” e della logica del “desiderio”
(movimenti “anti-quarantena”);
– formazione di un nuovo “senso comune” come effetto e al contempo
come veicolo della crisi attuale;
– ruolo delle tecniche di tracciamento e controllo nel plasmare la
vita associata, in tutti i suoi aspetti;
– relazione tra consenso e autorità, e tra disciplina imposta e
autoimposta: quali sono le forme che attualmente assume questo plesso di
relazioni?
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