martedì 11 agosto 2020

Pensare la pandemia/Thinking the Pandemic/Pensar la pandemia: Call for Papers per un numero speciale di "Materialismo Storico"

Pensare la pandemia: la soglia tra “pubblico” e “privato”, la crisi attuale e le forme del potere
numero monografico di «Materialismo storico» 
(http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico)
a cura di Stefano G. Azzara, Fabio Frosini e Anxo Garrido Fernández
Scrivere a stefano.azzara@uniurb.it / fabio.frosini@uniurb.it

Deadline: 15 settembre abstract, 15 novembre consegna testo



English - Tninking the pandemic: the threshold between “public” and “private”, the present crisis and the forms of power

 
 
 

Español - Pensar la pandemia: el límite entre “público” y “privado”, la crisis actual y las formas del poder
 
 
 

Alla luce dello shock economico causato dalle misure di contenimento del SARS-CoV-2 - Covid 19, che in questo momento (agosto 2020) si calcola provocheranno una caduta di quasi del 5% del PIL su scala globale, e vista l’incertezza derivante dalla mancanza – nonostante l'enorme mobilitazione di risorse – di una cura definitiva per la malattia, sembra pienamente giustificato parlare di una crisi di ampio respiro. Questa crisi ha messo in discussione alcuni dei pilastri della globalizzazione neoliberale nelle sue forme sinora dominanti, sia con l’introduzione di restrizioni ai flussi di merci, passeggeri e manodopera, sia attraverso l’inclusione di considerazioni diverse dalla mera redditività immediata nella produzione e distribuzione dei beni essenziali, sia attraverso i cambiamenti che ha introdotto nei modelli di consumo e più in generale nel rapporto tra apparati statali, classi sociali e organizzazioni della società civile. La sensazione di crisi è stimolata anche dalla preoccupazione – espressa in particolare dalla critica della biopolitica – che l’ampia e innovativa serie di misure tecniche e governamentali, adottate sul piano del controllo dei comportamenti e della mobilità delle popolazioni, con l’obbiettivo di contribuire a contenere la diffusione del virus, possa sostenere tendenze dell’interventismo statale di tipo anti-garantista e potenzialmente autoritario; tendenze che sono attualmente più o meno germinali a seconda delle diverse realtà nazionali, ma che potrebbero, con la crisi, diffondersi e affermare maggiormente la loro legittimazione, fino a radicarsi nel “senso comune”. D’altro canto, al rischio di una manipolazione dell’emergenza in chiave pastorale e disciplinare si affianca quello, forse persino più attuale man mano che ci allontaniamo dal picco della pandemia, di un suo uso in chiave ribellistica, nel quale il sovversivismo dall’alto sollecita lo scatenamento di un sovversivismo dal basso in nome della difesa di una libertà individuale assoluta da ogni ingerenza nella sfera privata e da ogni regolazione attuata in nome degli interessi generali.



In questo senso, la congiuntura attuale assume i tratti di un “interregno”, di un momento di cambiamento, in cui non è affatto chiaro se questo complesso sistema di provvedimenti, a cominciare dalla ricerca di un vaccino o di una cura efficace, potrà portare rapidamente a ristabilire le condizioni precedenti al gennaio del 2020, né se quanto è accaduto nell’anno in corso influirà in modo strutturale sui modi di vita e la mentalità, sulla cultura della vita quotidiana, sull’organizzazione dei complessi sistemi di traffico e interazione sul piano statale e internazionale. Dinnanzi al proliferare delle proiezioni di più o meno incredibili scenari futuri, è più ragionevole indagare le forme, che già in questo momento si sono manifestate, della crisi in corso, evitando però di isolare il presente da un più ampio scenario di processi di medio periodo (diversificati ma anche in parte collegati tra di loro), rispetto ai quali la pandemia ha funzionato da acceleratore e, per questa ragione, da rivelatore.

Segnaliamo in particolare due aspetti a nostro avviso dominanti di questa crisi:

1) nelle sue fasi iniziali, la gestione dell’emergenza sanitaria si è caratterizzata, in Europa e successivamente, più in generale, in tutto il mondo “occidentale”, per la mancanza quasi completa di solidarietà e mutua assistenza, anche tra Stati appartenenti allo stesso sistema di alleanze geopolitiche o addirittura agli stessi sistemi sovranazionali, come l’Unione Europea. Sempre nella stessa linea, l’interruzione dei flussi di commercio internazionale e la necessità di disporre di riserve di beni essenziali hanno favorito il ritorno in auge di piani di rilocalizzazione di industrie e filiere produttive considerate “strategiche”, secondo le linee di un “capitalismo organizzato” i cui contorni erano già percepibili nella tendenza a un riposizionamento in chiave protezionista delle grandi aree regionali che articolano la globalizzazione a guida USA.

2) Sul piano delle forme e tecniche di governo, va fatto rilevare che le autorità statali hanno adottato misure di lotta alla pandemia che nella quasi totalità hanno oscillato tra forme più o meno rigide di limitazione delle libertà personali. Le autorità di alcuni paesi si sono invece schierate, in tutto o in parte (ma con successive rettifiche e ampie oscillazioni), contro quella che è stata da alcuni definita la nuova tentazione “autoritaria” o addirittura “totalitaria”, che mirerebbe a imporre la “dittatura” del potere dello Stato-sorvegliante su tutte le attività, compresa la vita privata.

Questi due fenomeni – il ritorno (se più o meno temporaneo, rimane da vedere) a forme di “mercantilismo” pre-1945 e il profilarsi di un “intervenzionismo” statale impensabile fino a pochi mesi fa – configurano una situazione nella quale i dogmi della politica economica e più in generale della visione del mondo “neoliberale”, almeno nella vulgata che in misura maggiore ha sinora plasmato le forme di coscienza prevalenti, appaiono improvvisamente nella loro contingenza istitutiva, ponendo così in discussione l’intero involucro “liberale” e “costituzionale” sul quale per alcuni decenni si è retta la vita del mondo euro-atlantico.
In questo senso, per chi non vuole accontentarsi di descrivere la superficie dei fenomeni, la crisi del 2020 funziona come un “osservatorio” in cui si rendono evidenti i rapporti di forza che costituiscono la struttura profonda del mondo contemporaneo, a tutti i livelli: dai rapporti interpersonali al livello geopolitico, portando alla luce la precarietà di tale equilibrio, la sua storicità e la transitorietà degli aspetti materiali e ideologici che il consenso neoliberale aveva stabilito come inamovibili.

«Materialismo storico» intende aprire uno spazio di riflessione sulla crisi che stiamo attraversando. È una riflessione difficile, delicata, perché condotta sul filo dell’attualità, ma necessaria per poter prendere posizione in modo autonomo a partire dalle coordinate teoriche e culturali che caratterizzano questa rivista. A questo scopo, sottoponiamo all’attenzione dei possibili interessati una coppia categoriale che a nostro avviso riveste un ruolo imprescindibile in un approccio critico basato sulla tradizione marxista, e in particolare da un punto di vista che si ispiri al pensiero di Antonio Gramsci: la coppia pubblico/privato.

In una prospettiva marxista e gramsciana, pubblico/privato è il grande crinale che articola la vita sul piano della “cellula” politica fondamentale del mondo moderno, lo Stato nazione. Lo Stato moderno ha gradualmente, in un processo secolare, fondato giuridicamente la libertà individuale e, allo stesso tempo, la formazione della volontà politica sulla distinzione netta tra queste due sfere. Con l’imporsi delle società di massa, strutturate in modo “massiccio” (Gramsci), questa nettezza è però di fatto progressivamente venuta meno, anzi si è rivelata come una semplice utopia del liberalismo “rivoluzionario”. Gli esperimenti “corporativi” degli anni Venti e Trenta del Novecento – già ampiamente annunciati dal più intelligente pensiero conservatore della fine dell’Ottocento e del principio del secolo Ventesimo – non sono altro, in questa prospettiva, che una condensazione particolarmente potente ed evidente (come risposta a una crisi di enorme portata) di una tendenza che in realtà non è mai venuta meno neanche nel secondo dopoguerra, e che invano si è tentato di sradicare con la rivoluzione neoconservatrice dell’ultimo mezzo secolo.
Il conferimento diretto al singolo “cittadino” di funzioni e responsabilità “pubbliche”, di diretto rappresentante dell’ordine e della disciplina statale, richiesto dalla situazione di emergenza ha nuovamente posto in luce l’esistenza di tendenze all’erosione della dicotomia liberale pubblico/privato. In questi mesi, in tutti i paesi europei e probabilmente, in altre forme, anche altrove si sono sperimentate varie modalità di combinazione del momento del consenso e della forza, della disciplina autoimposta e di quella esteriore, della partecipazione comunitaria e della limitazione della libertà, tra “libertà” individuale e “conformismo” collettivo.
Lo scatenarsi della crisi epidemica ha repentinamente portato alla luce una “trama” materiale della vita sociale e della politica, dello “Stato in senso organico e più largo” (Gramsci), che è irriducibile alla concezione dicotomica della relazione tra pubblico e privato, e che – chiamando in causa almeno un’altra coppia categoriale che finisce per intrecciarsi con la prima, e cioè quella di universale e particolare – fa nascere un’ampia serie di “combinazioni” che sono alla base della molteplicità di esperimenti che caratterizza l’esperienza politica attuale.
Questo fenomeno di “attivazione” collettiva, sollecitata dalle politiche statali ma anche dalla necessità di affrontare l’emergenza in vari contesti della società, contiene aspetti regressivi ma anche potenzialità in direzione di un superamento o per lo meno di una relativizzazione dell’“individualismo proprietario” sul quale si basa l’economia di mercato, verso l’adozione di un modello più legato alla “pianificazione”, non più concepita e percepita come sinonimo di limitazione della libertà individuale, ma come un suo contesto organico.

Sulla base di questo orizzonte problematico, sollecitiamo interventi che, tenendo conto di esso, si concentrino in particolare (ma non esclusivamente) sulle seguenti questioni (anche assumendo temi a esse trasversali):
– forme di “neo-mercantilismo” e ristrutturazione del “libero mercato”
– tendenze alla “corporativizzazione” del tessuto sociale e riaffermazione, per contro, dell’“individualismo” e della logica del “desiderio” (movimenti “anti-quarantena”);
– formazione di un nuovo “senso comune” come effetto e al contempo come veicolo della crisi attuale;
– ruolo delle tecniche di tracciamento e controllo nel plasmare la vita associata, in tutti i suoi aspetti;
– relazione tra consenso e autorità, e tra disciplina imposta e autoimposta: quali sono le forme che attualmente assume questo plesso di relazioni?